Gli episodi di violenza contro operatori sanitari sono sempre più frequenti e possono essere considerati segnali della presenza nell’ambiente di lavoro di situazioni di rischio o di vulnerabilità che richiedono l’adozione di opportune misure di prevenzione e protezione dei lavoratori.  L’Ordine degli Assistenti Sociali ha stilato un Vademecum per prevenire ad affrontare il rischio di violenza nei confronti dei professionisti dell’aiuto.

Il Vademecum identifica le seguenti aree come maggiormente a rischio di episodi di violenza:

  • servizi di emergenza-urgenza;
  • strutture psichiatriche ospedaliere e territoriali;
  • luoghi di attesa;
  • servizi di geriatria;
  • servizi di continuità assistenziale.

 

Sebbene qualunque operatore sanitario possa essere vittima di violenza, i medici, gli infermieri e gli operatori socio-sanitari sono a rischio più alto in quanto sono a contatto diretto con il paziente e devono gestire rapporti caratterizzati da forte emotività sia da parte del paziente stesso che dei familiari, che si trovano in uno stato di vulnerabilità, frustrazione o perdita di controllo, specialmente se sotto l’effetto di alcol o droga.

 

Numerosi sono i fattori responsabili di atti di violenza diretti contro gli operatori delle strutture sanitarie, tra cui:

  • l’aumento di pazienti con disturbi psichiatrici acuti e cronici;
  • la diffusione dell’abuso di alcol e droga;
  • l’accesso senza restrizione di visitatori presso ospedali e strutture ambulatoriali;
  • lunghe attese nelle zone di emergenza o nelle aree cliniche, con possibilità di favorire uno stato di frustrazione;
  • ridotto numero di personale durante alcuni momenti di maggiore attività;
  • presenza di un solo operatore a contatto con il paziente durante visite, esami, trattamenti;
  • mancanza di formazione del personale nel riconoscimento e controllo dei comportamenti ostili e aggressivi;
  • scarsa illuminazione delle aree di parcheggio e delle strutture.

 

I fattori di rischio variano in base alla tipologia di struttura, di utenza e di servizi erogati, di ubicazione e dimensione. Tuttavia, il comportamento violento avviene spesso secondo una progressione tipica che parte dall’uso di espressioni verbali aggressive e arriva fino a gesti estremi, quali ad esempio l’omicidio. La conoscenza di tale progressione può consentire al personale di comprendere quanto accade e interrompere il corso degli eventi.

 Ecco qui sotto la progressione tipica:

Uso di espressioni verbali aggressive -> Impiego di gesti violenti -> Minaccia -> Spinta -> Contatto fisico -> Uso di arma -> Lesione e/o morte

 

Quali sono allora le tecniche di prevenzione e protezione che possono essere messe in atto?

  • diffondere una politica di tolleranza zero verso atti di violenza, fisica o verbale, e assicurarsi che operatori, pazienti, visitatori siano a conoscenza di tale politica;
  • incoraggiare il personale a segnalare prontamente gli episodi subiti e a suggerire le misure per ridurre o eliminare i rischi;
  • facilitare il coordinamento  con  le  Forze  di  Polizia  o  altri  soggetti  che  possano  fornire  un  valido supporto per identificare le strategie atte a eliminare o attenuare la violenza nei servizi sanitari;
  • assegnare la responsabilità della conduzione del programma a soggetti o gruppi di lavoro addestrati e qualificati e con disponibilità di risorse idonee in relazione ai rischi presenti;
  • affermare l’impegno della Direzione per la sicurezza nelle proprie strutture.

 

Può essere utile la costituzione di un gruppo di lavoro per favorire il coinvolgimento del management aziendale  e  del  personale  maggiormente  a  rischio al  fine  di  consentire l’individuazione  e  l’implementazione  delle  azioni  e  delle  misure  necessarie  a  garantire  l’efficacia  al programma. Il gruppo di lavoro si dovrà occupare di analizzare le situazioni operative identificando quelle maggiormente vulnerabili, esaminare i dati relativi agli episodi di violenza già verificatisi, definire adeguate misure di prevenzione e protezione, implementare le misure individuate nel programma di prevenzione della violenza.

 

Alcuni esempi di soluzioni logistiche-organizzative e/o tecnologiche che possono essere adottate sono le seguenti:

  • valutare i  progetti  di  nuova  costruzione  o  di  modifica  delle  strutture  esistenti  in  funzione  della eliminazione o riduzione dei fattori di rischio connessi alla violenza;
  • valutare la necessità di installare, e mantenere regolarmente in funzione, impianti di allarme o altri dispositivi di sicurezza (pulsante antipanico, allarmi portatili, telefoni cellulari, ponti radio) nei luoghi dove il rischio è elevato. Assicurare la disponibilità di un sistema di pronto intervento nel caso in cui l’allarme venga innescato;
  • valutare la necessità di assicurare la disponibilità di metal-detector fissi o portatili atti a rilevare la presenza di armi metalliche;
  • installare un impianto video a circuito chiuso, con registrazione sulle 24 ore, nelle aree ad elevato rischio. In queste situazioni la sicurezza è un fattore prioritario rispetto alla privacy;
  • assicurare la disponibilità di stanze dotate dei necessari dispositivi di sicurezza nel caso di pazienti in stato di fermo, sotto effetto di alcol e droga o con comportamenti violenti;
  • assicurarsi che i luoghi di attesa siano confortevoli ed idonei a minimizzare fattori stressogeni;
  • garantire la presenza e il funzionamento di idonee serrature per le stanze di visita e di trattamento, per le stanze di soggiorno e riposo degli operatori sanitari, per bagni (distinti da quelli per gli utenti), secondo eventuali indicazioni degli Organi di sicurezza;
  • prevedere, nelle aree di colloquio o di trattamento per i pazienti a rischio di crisi, la presenza di un arredo idoneo ed eliminare oggetti che possono essere usati come arma;
  • assicurare l’installazione di sistemi di illuminazione idonei e sufficienti sia all’interno della struttura che all’aperto;
  • sostituire e/o riparare, con urgenza, finestre e serrature rotte;
  • mantenere in buono stato le autovetture comunemente utilizzate dagli operatori e chiuderle sempre a chiave.

 

Vediamo adesso invece alcuni esempi di misure organizzative atte a contribuire a impedire gli atti di violenza:

  • esporre chiaramente a pazienti e accompagnatori che gli atti di violenza non sono permessi o tollerati;
  • stabilire un coordinamento con le Forze di Polizia e in caso di incidente fornire loro tutte le notizie utili per facilitare le indagini;
  • sensibilizzare il  personale  affinché  siano  sempre  segnalate  aggressioni  o  minacce  (ad  esempio, attraverso interviste confidenziali);
  • regolamentare l’ingresso in  alcune  aree,  quali  l’isola  neonatale  o  la  pediatria;
  • predisporre la  presenza  e  disponibilità  di  un  team  addestrato  a  gestire  situazioni  critiche  e  a controllare pazienti aggressivi;
  • assicurarsi che i pazienti in attesa di una prestazione sanitaria ricevano informazioni chiare sui tempi di attesa;
  • definire politiche e procedure per la sicurezza e l’evacuazione di emergenza;
  • assicurare sempre,  all’atto  di  una  visita,  di  un  esame  diagnostico,  che  siano  presenti  due  figure professionali (ad esempio, medico e infermiere) e prevedere, in caso di necessità, la presenza di un mediatore culturale;
  • scoraggiare il personale dall’indossare collane o usare stringhe per scarpe allo scopo di prevenire un possibile strangolamento in situazioni critiche, e dal recare con sé oggetti che potrebbero essere utilizzati per produrre lesioni;
  • prevedere la possibilità di fornire al personale a rischio un cartellino di identificazione recante solo il nome senza cognome;
  • assicurarsi che gli accessi alle strutture e l’area di parcheggio siano ben illuminate e se necessario prevedere  che  il  personale  nelle  ore  notturne  o  serali  o  quando  la  sicurezza  personale  risulti minacciata sia accompagnato da addetti alla vigilanza;
  • sviluppare idonee procedure per rendere sicura l’assistenza domiciliare da parte di operatori sanitari, prevedendo  la  presenza  di  un  accompagnatore  durante  la  visita  in  situazioni  di  alto  rischio  o  la comunicazione ad un secondo operatore dei propri spostamenti per conoscerne la localizzazione;
  • registrare tutti gli episodi di violenza occorsi ed elaborare le informazioni raccolte al fine di definire ogni necessaria misura di prevenzione.


Come gestire gli episodi di violenza?

Il  personale  coinvolto  dovrebbe  poter  ricevere  un  primo  trattamento,  compresa  una  valutazione psicologica, a prescindere dalla severità del caso. Le vittime della violenza sul luogo di lavoro infatti potrebbero presentare, oltre a lesioni fisiche, una varietà di situazioni cliniche tra cui trauma psicologico di breve o lunga durata, timore di rientro al lavoro, cambiamento nei rapporti con colleghi e familiari. Pertanto, è necessario assicurare un trattamento appropriato per aiutare le vittime a superare il trauma subito e per prevenire futuri episodi

La formazione del personale è una componente essenziale in quanto punta a far sì che tutto il personale conosca i rischi potenziali per la sicurezza e le procedure da seguire per proteggere se stessi e i colleghi da atti di violenza. I contenuti formativi vanno diversificati in base alla tipologia di operatore.

 

Come si disinnesca una situazione potenzialmente esplosiva?

Quando una situazione violenta rischia di scoppiare, e non ci si trova sotto la minaccia di armi,  è appropriato tentare una de-escalation verbale per abbassarne il livello .

 

1) L'operatore deve essere in grado di avere il controllo di sé stesso.

 Serve che il professionista: 

  • appaia calmo, centrato e sicuro di sé, anche se non sente di esserlo;
  • cerchi di rilassare muscoli del volto mostrandosi fiducioso perché la sua ansia può – a sua volta - far sentire il cliente ansioso ed insicuro, il che può scatenare l'aggressione;
  • usi un  tono  di  voce  modulato,  basso  e  monotono  (quando  si  è  spaventati  si  ha  normalmente  la tendenza ad usare un tono di voce teso, acuto e di alto volume);
  • se ne ha il tempo, si tolga la cravatta, la sciarpa, collane, eventuali simboli religiosi o politici prima di incontrare il paziente (mai farlo in sua presenza);
  • non stia sulla difensiva: anche se i commenti o gli insulti sono diretti al professionista essi non lo riguardano personalmente;
  • non difenda mai se stesso o qualcun altro dagli insulti, accuse o idee sbagliate sul vostro ruolo;
  • abbia sempre in mente quali sono le possibili azioni da adottare per mettersi in salvo;
  • sia pertanto consapevole che ha sempre la possibilità di andarsene, chiedere al paziente di andarsene o chiamare le Forze dell’Ordine qualora la de-escalation non fosse efficace;
  • sia molto rispettoso, anche quando mette con fermezza dei limiti o chiama aiuto;
  • sia consapevole che un individuo agitato è molto sensibile alla vergogna e alla mancanza di rispetto:

L’ obiettivo è che il paziente sappia che non è necessario mostrarsi aggressivo per essere rispettato.

 

2) La posizione fisica

 Alcune regole da seguire:

  • non dare le spalle per nessun motivo;
  • mantenere con il paziente lo stesso livello di sguardo;
  • incoraggiare il paziente a stare seduto, ma se ha bisogno di stare in piedi anche il professionista è opportuno stia in piedi;
  • mantenere tra professionista  e  paziente  una  distanza  maggiore  del  solito,  circa  4  volte  la distanza usuale ricordando che la rabbia e l'agitazione “riempiono” lo spazio extra fra due persone;
  • non stare faccia a faccia di fronte al paziente;
  • mantenere una posizione ad angolo, in modo che sia più agevole allontanarsi se necessario;
  • non mantenere  un  continuo  contatto  visivo  perché  è  opportuno  permettere  al  paziente  di interrompere questo tipo di contatto e guardare altrove;
  • non puntare né scuotere il dito gesticolando;
  • non sorridere: farlo può sembrare che ci si prenda gioco del paziente e che sia una dimostrazione di ansia;
  • non toccare il paziente, anche se nel contesto del professionista un certo tipo di contatto fisico sia culturalmente appropriato ed usuale: infatti, la distorsione cognitiva nelle persone agitate porta a fraintendere facilmente il contatto fisico come ostile o minaccioso;
  • non tenere le mani in tasca, mantenerle libere e pronte a proteggersi. Ciò comunica anche, a livello non verbale, che non si hanno armi;
  • non argomentare  per  provare  a  far  cambiare  idea  al  cliente,  piuttosto  è  opportuno  consentirgli  possibilità diverse;
  • non stare sulla difensiva e non avere un atteggiamento giudicante.

 

3) La de-escalation verbale

 Serve, inoltre:

  • ricordare che l’unico contenuto della de-escalation verbale è il riportare con calma l'eccitazione ad un livello di maggiore sicurezza;
  • non alzare il tono e non provare a parlare sopra una persona che sta urlando;
  • aspettare che il paziente riprenda fiato e solo allora parlare;
  • parlare con calma e con un tono di voce medio;
  • rispondere alle domande in modo selettivo rispondendo a tutte le domande con un contenuto di informazione, non importa quanto aggressivamente siano state poste;
  • non rispondere mai a domande tendenziose. Ad esempio: "Perché tutti gli assistenti sociali sono dei ........(insulto)?" . E’ molto importante ricordare che a questo tipo di domanda non si deve mai rispondere;
  • spiegare i limiti e i ruoli in modo autorevole, fermo, ma sempre con un tono rispettoso;
  • prospettare, quando  possibile,  scelte  alternative  che  consentano  ad  entrambi  di  uscire  dalla situazione in modo sicuro. Ad esempio: "Che ne pensa di continuare il nostro incontro in modo più tranquillo? Oppure preferisce che ora ci fermiamo e ritornare domani quando le cose saranno più calme?";
  • essere empatico con i sentimenti ma non con il comportamento. Ad esempio: "Capisco che lei abbia tutti i motivi per essere arrabbiato, ma non va bene che lei minacci me o il mio staff");
  • non chiedere al paziente quali siano i suoi sentimenti, e non interpretarli in modo analitico;
  • non argomentare o provare a convincere il paziente;
  • entrare in contatto, quando possibile - col livello cognitivo del paziente. Non chiedere, ad esempio, "Mi dica come si sente" ma piuttosto "Mi aiuti a capire quello che lei vuole dirmi"; normalmente  le  persone  non  aggrediscono  mentre  stanno  spiegando  ciò  che  vogliono  si sappia;
  • suggerire comportamenti alternativi. Ad esempio: "Le va di fare una pausa, prendersi un caffè (tiepido e in bicchiere di carta...) o un bicchiere d'acqua? ";
  • esporre le conseguenze dei comportamenti inadeguati senza minacce o rabbia;
  • illustrare i controlli esterni come istituzionali piuttosto che personali;
  • fidarsi del proprio istinto e della propria esperienza.

 

Un suggerimento importante, infine: se il professionista valuta o sente – e ciò avverrà nel giro di due-tre minuti - che la de-escalation non sta funzionando deve assolutamente fermarsi.

Se la de-escaltion non funziona il professionista deve:

  • chiedere alla  persona  di  andarsene,  accompagnarla  alla  porta,  chiedere  aiuto  o  allontanarsi
  • chiamare le Forze dell’Ordine;
  • evitare qualsiasi comportamento “eroico” e nemmeno iniziare a provare la de-escalation se il paziente ha un'arma: in questo caso, semplicemente assecondarlo.


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