Quando il committente risponde per i rischi specifici dell'appaltatore
Il restringimento dell'area di esclusiva responsabilità dell'appaltatore a fronte di situazioni di pericolo agevolmente percepibili o evidenti per il committente, con particolare riferimento agli appalti affidati nel ciclo produttivo.
Nell'evoluzione degli ultimi anni (o forse sarebbe meglio dire decenni), è divenuto sempre più frequente il fenomeno dell'affidamento in esterno da parte delle organizzazioni di interi segmenti del proprio ciclo produttivo. Ciò ha dapprima condotto il legislatore ad intervenire - nel triennio 2006, 2007 e 2008 - sulla normativa prevenzionistica estendendo proporzionalmente il campo di applicazione di quello che oggi è l'art. 26 del d.lgs. 81/08 e, successivamente, ha indotto la giurisprudenza a ricordare che "l'imprenditore, quand'anche frazioni il ciclo produttivo avvalendosi di strumenti contrattuali finalizzati ad alleggerire sul piano burocratico-organizzativo la struttura aziendale, non perde la sua posizione di garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità di tutti coloro che contribuiscono alla realizzazione del suo programma lavorativo e produttivo" (Cassazione Penale, Sez.IV, 25 marzo 2019 n.12876).
Ciò detto, esaminando con attenzione la copiosa giurisprudenza in materia di appalti, tuttavia, è possibile cogliere sottotraccia ulteriori implicazioni di questo fenomeno.
Le conseguenze che esso ha comportato, infatti, non sono state limitate all'esigenza per gli operatori del settore di fare i conti con il concetto di "disponibilità giuridica" del committente secondo quanto previsto dal campo di applicazione dell'art.26 D.Lgs. 81/08, bensì hanno avuto una portata assai maggiore, interessando anche da un lato le responsabilità del committente in relazione all'obbligo della selezione dell'idoneità tecnico-professionale e, dall'altro, comportando un'estensione (non per volontà del legislatore ma bensì per ricorrenti circostanze di fatto) delle responsabilità del committente nell'ambito dell'area dei rischi specifici dell'appaltatore a fronte di quelle che la giurisprudenza chiama "carenze agevolmente percepibili".
Come ricordato dalla Cassazione Penale, infatti, l'art.26 del D.Lgs. 81/08 "svolge funzione integrativa del precetto penale che sanziona il reato di lesioni colpose ponendo a carico del committente l'obbligo di garantire che anche l'impresa appaltatrice che svolge attività nella sua azienda si attenga a misure di prevenzione della cui inosservanza lo stesso committente sarà chiamato a rispondere, ove fosse in grado di percepirne l'inadeguatezza" (Cassazione Penale, Sez. IV, 27 agosto 2014 n. 36268).
Occorre dunque domandarsi: fino a che punto si può affermare, ad oggi, che un committente il quale, ad esempio, abbia affidato lavori o servizi in esterno nell'ambito del proprio ciclo produttivo in relazione ad attività che magari fino a qualche tempo prima erano svolte direttamente dal committente stesso con personale proprio (e rispetto alle quali dunque ha uno specifico know how), non sia in grado di rilevare delle carenze agevolmente percepibili nell'attività dell'appaltatore?
Tutto ciò si collega peraltro anche al tema dell'obbligo di verifica dell'idoneità tecnico-professionale (il quale, ai sensi dell'art.26 del Testo Unico, deve essere adempiuto giustappunto "in relazione ai lavori, ai servizi e alle forniture da affidare"), dal momento che, secondo la giurisprudenza, il "dovere di diligenza del committente non si esaurisce nella scelta di un'impresa che sia tecnicamente in grado di eseguire il lavoro da commissionare, estendendosi alla verifica dell'idoneità dell'impresa appaltatrice a svolgere determinate lavorazioni in condizioni di sicurezza per i lavoratori, configurandosi quindi la responsabilità del committente qualora sia verificato in concreto che fosse da lui agevolmente percepibile il rischio derivante dall'inadeguatezza dell'organizzazione dell'impresa appaltatrice sotto il profilo prevenzionistico" (Cassazione Penale, Sez. IV, 27 agosto 2014 n. 36268).
In pratica, dunque, è vero che l'art.26 c.3 del D.Lgs.81/08 prevede che "le disposizioni del presente comma non si applicano ai rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi", ma accanto a questo dato normativo occorre tener conto del principio giurisprudenziale secondo cui "il legale rappresentante della ditta subappaltante acquisisce una posizione di garanzia nei confronti dei dipendenti del subappaltatore, anche con riferimento a rischi non da interferenza, cioè propri di quest'ultimo. Ciò avviene ogni qual volta si sia in presenza di situazioni di pericolo - per la salute, la vita o l'integrità fisica - di immediata evidenza per chiunque, anche se sfornito di conoscenze tecniche specifiche, nonché quando il subappaltante si ingerisce nell'attività del subappaltatore (cfr. Sezione III, 24 febbraio-24 marzo 2015, n.12228, Cicuto)." (Cassazione Penale, Sez. IV, 28 maggio 2015 n. 22815)
Come risulta evidente, il discorso a questo punto va esteso anche al di fuori dell'ambito degli appalti aventi ad oggetto frazioni del ciclo produttivo, dal momento che il principio appena ricordato vale evidentemente in tutti i casi.
La giurisprudenza della Suprema Corte ci ricorda che l'art.26 del D.Lgs. 81/08 "esclude l'obbligo per il datore di lavoro committente per i "rischi specifici delle attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi".
L'esclusione, dunque, è prevista non per le generiche precauzioni, da adottarsi negli ambienti di lavoro per evitare il verificarsi di incidenti, ma per quelle regole che richiedono una specifica competenza tecnica settoriale, normalmente assente in chi opera in settori diversi, nella conoscenza delle procedure da adottare nelle singole lavorazioni o nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine." ( Cassazione Penale, Sez.IV, 24 giugno 2016 n. 26490).
E la Cassazione prosegue specificando che "evidentemente, come più volte sottolineato da questa Corte di legittimità in casi analoghi, non può considerarsi rischio specifico quello derivante dalla generica necessità di impedire cadute da parte di chi operi in altezza essendo, questo pericolo, riconoscibile da chiunque indipendentemente dalle sue specifiche competenze (cfr, ex plurimis, sez.4, n.12348 del 29/01/2008, rv.239252)."
Infatti, "è stato più volte affermato che il committente in tali casi è titolare di una autonoma posizione di garanzia e può essere chiamato a rispondere dell'infortunio subito dal lavoratore qualora l'evento si colleghi causalmente ad una sua colpevole omissione, specie nel caso in cui la mancata adozione o l'inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini (cfr. sez. 4, n.10608 del 04/12/2012, rv.255282)."
La Corte aggiunge: "e, ancora nello specifico del rischio-caduta, è stato recentemente ribadito - e va qui riaffermato - che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro qualora il lavoratore presti la propria attività in esecuzione di un contratto d'appalto, il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica, con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine (cfr. sez.3, n.12228 del 25/02/2015).»
Esaminando i casi in cui si può avere un coinvolgimento del committente in relazione all'area dei rischi specifici dell'appaltatore, non possiamo non trattare - anche se brevemente - il tema della eventuale ingerenza da parte del committente stesso, tenendo sempre però in considerazione il fatto che - come si è ricordato finora - l'ingerenza non è l'unica eventualità che può condurre a tale coinvolgimento.
Come ci ricorda la Suprema Corte ( Cassazione Penale, Sez.IV, 6 dicembre 2021 n.44944), "il contratto d'appalto non solleva da precise e dirette responsabilità il committente allorché lo stesso assuma una partecipazione attiva nella conduzione e realizzazione dell'opera; in tal caso, invero, anch'egli rimane destinatario degli obblighi assunti dall'appaltatore, e, dunque, anche di quello di controllare direttamente le condizioni di sicurezza del cantiere".
Essenzialmente, sulla base dei principi che regolano la prevenzione sui luoghi di lavoro, chi organizza o ordina deve anche controllare. Detto in maniera meno sbrigativa, chi a qualunque titolo esercita un potere direttivo, organizzativo o gerarchico deve anche farsi carico della vigilanza.
Ma quale ingerenza può essere ritenuta "rilevante" ai fini della responsabilità penale del committente?
La Corte precisa in merito che "l'ingerenza, cioè, deve portare in sé lo stigma della causazione (nel concorrere, anche ed eventualmente, di altri fattori, tra i quali pure la condotta illegittima dell'appaltatore) dell'evento di danno. Essa, pertanto, si risolve nell'istigare alla condotta illecita o nel determinarla."
In sostanza la Cassazione chiarisce "come l'ingerenza rilevante ai fini della responsabilità del committente dei lavori non si identifichi con qualsiasi atto o comportamento posto in essere da quest'ultimo, ma deve consistere in una attività di concreta interferenza sul lavoro altrui tale da modificarne le modalità di svolgimento e da stabilire comunque con gli addetti ai lavori un rapporto idoneo ad influire sull'esecuzione degli stessi."
La giurisprudenza di legittimità afferma dunque "il principio secondo il quale il committente risponde degli eventi di danno subiti dai dipendenti dell'appaltatore quando si sia ingerito nell'esecuzione della opera, e di ogni singola operazione di lavoro, mediante una condotta che, comunque, abbia implicato l'inosservanza delle norme di legge o di regolamento o prudenziali dettate, o comunemente seguite, a tutela degli addetti, esplicando così un ruolo sinergico nella produzione dell'evento di danno".
Tornando infine al tema delle carenze agevolmente percepibili da parte del committente, non possiamo concludere questo ragionamento senza richiamare un importante principio della Cassazione secondo cui "va ricordato che è costante l'orientamento di questa Corte regolatrice (cfr. sez.4 n.30857 del 14.7.2006, sodi, rv.234828) secondo il quale, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, quantunque l'obbligo di cooperazione tra committente e appaltatore (o tra appaltatore e subappaltatore) ai fini della prevenzione antinfortunistica con informazione reciproca [...] non esiga che il committente intervenga costantemente in supplenza dell'appaltatore quando costui, per qualunque ragione, ometta di adottare le misure di prevenzione prescritte, deve tuttavia ritenersi che, quando tale omissione sia immediatamente percepibile (consistendo essa nella palese violazione delle norme antinfortunistiche), il committente, che è in grado di accorgersi senza particolari indagini, come nel caso in esame, dell'inadeguatezza delle misure di sicurezza, risponde anch'egli delle conseguenze dell'infortunio eventualmente determinatosi" (Cassazione Penale, Sez.III, 24 marzo 2015 n. 12228).
Sentenze di riferimento:
- Corte di Cassazione Penale, Sez.IV ? Sentenza n.44944 del 6 dicembre 2021 - Ustioni mortali per il lavoratore durante le operazioni di messa in pressione dell'impianto di adduzione e distribuzione della rete del gas metano
- Corte di Cassazione Penale Sez. 4 - Sentenza n. 12876 del 25 marzo 2019 - Tragedia Truck Center, tutto da rifare: la Cassazione annulla con rinvio la sentenza di assoluzione
- Corte di Cassazione - Pen., Sez.IV ? Sentenza n. 26490 del 24 giugno 2016 - Infortunio mortale del lavoratore irregolare caduto a causa del cedimento di una copertura in eternit. Responsabilità del committente per aver omesso di verificare l'idoneità dell'affidatario prescelto
- Corte di Cassazione - Cassazione Penale, Sez. 4, 28 maggio 2015, n. 22815 - Appalto e subappalto: caduta dall'alto e responsabilità
- Corte di Cassazione - Cassazione Penale, Sez. 4, 27 agosto 2014, n. 36268 - Infortunio del dipendente della ditta affidataria: casi di responsabilità condivisa tra committente e appaltatore